LA LETTERA DI ANTONELLO VENDITTI: «CARO PINO, CI VORREBBE UN AMICO E TU PER ME LO ERI»

Caro Pino, ci vorrebbe un amico, e noi lo siamo stati, per questo poi non abbiamo suonato insieme, difendendo con pudore i nostri sentimenti, che venivano da lontano, dagli esordi, quando Roma e Napoli erano l’asse su cui stava cambiando la canzone italiana.

Caro Pino, giovedì sarò nella tua città, nel tuo stadio, tra le tue canzoni, con i tuoi amici, con il tuo pubblico, la tua tribù. Non so bene ancora che cosa farò, stiamo decidendo, però mi viene voglia di raccontare la storia di «Notte prima degli esami», che parla di te, parla di noi. «Io mi ricordo, quattro ragazzi con la chitarra/ e un pianoforte sulla spalla». Tu eri quello con la chitarra, come gli altri cantautori della scuola romana, ma eri anche quello con il pianoforte sulla spalla. A quei tempi facevamo tutto da soli, non avevamo manager e guidavamo i pulmini scalcagnati con cui viaggiavamo, scaricavamo strumenti e amplificatori. Tu all’epoca eri il bassista dei Napoli Centrale del grandissimo James Senese, dopo aver sistemato la tua roba, non so perché, credo che fossimo dalle parti di Cinecittà, ti trovasti a imprecare scaricando il piano che dovevo suonare io. Quante volte ci abbiamo scherzato sopra, Pinù. Perché amici lo siamo stati davvero, uniti dalla notte prima degli esami rappresentata dalla nostra gavetta in tempi in cui facevamo musica non certo di moda, lottavamo per farci ascoltare. Quello del San Paolo – sono orgoglioso di esserci – sarà l’omaggio più grande e sentito a un maestro della canzone d’autore italiana mai tenuto, e sì che in tanti ci avete lasciati e ci mancate. L’omaggio più condiviso, bello, sincero, sentito: quanti ne siamo, di quante generazioni, e praticamente a reti unificate, per dire quanto affetto c’era intorno a te, c’è intorno a te. In qualche modo sarà il tuo ritorno al San Paolo, non a caso per il concertone del 7 giugno hanno scelto il titolo di «Pino è», obbligandoci a dare il meglio nel tuo nome, nel tuo segno, seguendo la tua lezione. Mi avvicino al momento di salire sul palco con il groppo alla gola che sai, che condivido con un altro amico nostro, Zero. Eravamo tuoi vicini di casa, in Maremma, per quello ho avuto il privilegio di continuare a frequentarti anche in privato, non solo a Roma. Quella maledetta notte in cui te ne sei andato non c’eravamo, né io né Renato, chissà se ci fossimo stati, magari ti avremmo convinto a salire sull’ambulanza, a correre a Orbetello, a… Ma non ha senso starci a pensare, preferisco tuffarmi nello scrigno dei ricordi in cui avevamo messo insieme tante piccole emozioni-pietre preziose, non parlavamo di lavoro, anche con Dalla e De André mi è capitato di vivere così l’amicizia tra colleghi. Caro Pino, ci vorrebbe un amico comune che mi ricordasse quando ci siamo conosciuti, mi pare da sempre, erano gli anni 60 quando ci ritrovammo insieme in un magico Natale napoletano, arruolati in una «Cantata dei pastori» storica. Erano gli anni del Teatro Instabile, che bazzicava anche De Gregori, come potevamo non esserci dopodomani, come potevamo sottrarci alla commozione che riempirà lo stadio, la notte, la città, le radio, la tv, l’Italia tutta quando verrà il momento di «Napule è». Non te lo dobbiamo dire noi che Napoli è Pino Daniele, te lo dice Napoli ogni giorno, ringraziandoti per averla cantata bella e diversa, complessa e orgogliosa, tra miseria e nobiltà.

fonte www.ilmattino.it