Premetto che questa riflessione è di carattere generale e riguarda tutti i Comuni, in particolare tutte quelle amministrazioni che siano esse sciolte per infiltrazioni della criminalità organizzata o monitorate o sotto indagini. Tutti gli addetti ai lavori ricorderanno la triste vicenda che investì l’Amministrazione frattese a partire dal 22 dicembre 2001 con l’insediamento di una commissione d’accesso agli atti, seguita dalle dimissioni dei consiglieri comunali il successivo 7 maggio 2002 e infine terminata con il decreto di scioglimento del 5 novembre 2002 e relativo commissariamento per 18 mesi. Una sequenza che testimonia che le dimissioni in toto dei consiglieri comunali nei Comuni nei quali emergono condizionamenti e legami con esponenti della locale criminalita’, non bastano a sanare, a purificare l’ambiente e convincere il Ministro a fare marcia indietro. Le dimissioni in toto possono avere una valenza in tal senso solo se protocollate ai primi segnali, alle prime avvisaglie di una presenza ingombrante nella gestione della macchina amministrativa, cercando di convincere gli inquirenti che si è lontano dalla “marmellata” evitando di fatto di subire le misure restrittive previste dalle leggi, le stesse leggi che oggi obbligano i responsabili a non potersi candidare per i successivi 10 anni, salvo eventuali ricorsi accolti. In tante amministrazioni sotto la lente d’ingrandimento delle Procure e della Direzione Distrettuale Antimafia è fondamentale valutare con alto senso di responsabilità e civico, di lasciare prima che sia troppo tardi. Ma spesso l’ingordigia del potere, eventuali accordi in campagna elettorale con soggetti poco raccomandabili, i grandi interessi, offuscano la ragione e ci si ritrova con una città dove agli elettori viene negato il voto per circa due anni. In questi casi, quando i segnali cominciano ad essere assordanti, occorre alto senso civico e umiltà, dimostrare per davvero che si vuole il bene della comunità passando la mano.